In “Ti presento Joe Black” c’era una frase famosa “Poche cose nella vita sono certe oltre alla morte e alle tasse”. Dopo aver visto Everything, Everywhere, all at once, possiamo aggiungere a queste certezze anche il fatto che prima o poi bisognerà fare il bucato. Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone è andato a vedere il film campione di incassi e di Oscar, per capire.
E il film inizia proprio con i personaggi dello sceneggiatore/regista Daniel Kwan e Daniel Scheinert, noti collettivamente come Daniels, all’interno della lavanderia di famiglia che dà inizio alle danze: incredibili, emotive, filosofiche e stramboidi di questo capolavoro che è, “Everything Everywhere All at Once”. E pian piano ci affacciamo attraverso lo specchio nel multiverso, scoprendo una saggezza metafisica lungo la strada.
In questa lettera d’amore al cinema di genere, Michelle Yeoh offre una performance virtuosa nei panni di Evelyn Wang, la co-proprietaria di una lavanderia a gettoni sotto controllo dell’IRS. La incontriamo per la prima volta mentre si gode un momento felice con suo marito Waymond (Ke Huy Quan) e la loro figlia Joy (Stephanie Hsu). Vediamo i loro volti sorridenti riflessi in uno specchio sulla parete del soggiorno. Mentre la telecamera ingrandisce lo specchio, il sorriso di Evelyn svanisce, e la ritroviamo ora seduta a un tavolo inondato di ricevute di lavoro. Si sta preparando per un incontro con un auditor e contemporaneamente cucina per la festa di capodanno cinese che dovrà essere all’altezza degli elevati standard del padre Gong Gong (James Hong).
Oltre a destreggiarsi tra il padre e la verifica fiscale, Evelyn deve combattere anche con la figlia Joy, che vuole portare la sua ragazza Becky (Tallie Medel) alla festa (chissà come la prenderà Gong Gong?) e con il marito che invece vuole parlarle del loro matrimonio.
Proprio mentre Evelyn inizia a sentirsi sopraffatta da tutto ciò che accade nella sua vita, riceve la visita di un’altra versione di Waymond da quello che lui chiama l’universo Alpha. Da qui, gli umani saltano tra gli universi per scappare da Jobu Tupaki, una minaccia mortale a tutti i mondi esistenti. Da qui a pochissimo, Evelyn viene catapultata in un’avventura da un universo all’altro che la porta a mettere in discussione tutto ciò che pensava di sapere sulla sua vita, i suoi fallimenti e il suo amore per la sua famiglia.
Everything, everywhere all at once: un nome, un perché
La maggior parte dell’azione è ambientata in un edificio molto simile a un’Agenzia delle Entrate, dove Evelyn, beh, semplicemente combatte. Antonio Gazzanti Pugliese si aspettava del karate da questo film, ma non certo le trame assurde che poteva prendere. Evelyn combatte contro la Jamie Lee Curtis premio Oscar anche lei, e contro moltissime guardie di sicurezza. Ma che dire, combatte proprio con tutti!
Lo scenografo Jason Kisvarday ha creato un ufficio apparentemente infinito pieno di cubicoli in cui qualsiasi cosa, dalla lama di un tagliacarte a un auditor dell’anno a forma di tappo, diventa un gioco leale in una battaglia per salvare l’universo.
Il ritmo vertiginoso del montatore Paul Rogers corrisponde al dialogo frenetico della sceneggiatura, con strati di universi che si ripiegano simultaneamente l’uno nell’altro mentre promuovono anche il viaggio interiore di Evelyn. I tagli di corrispondenza collegano perfettamente gli universi insieme, mentre quelli giocosi aiutano a enfatizzare l’umorismo, altro centrale fulcro del film.
Lo spettacolo dell’assurdo! Antonio Gazzanti Pugliese
Ogni universo, come sempre, nasce da scelte fatte e non fatte. I riferimenti cinematografici si sprecano tra uno e l’altro: da “The Matrix” a “The Fall” a “2001: Odissea nello spazio” a “In The Mood For Love” a “Ratatouille”. Con un piccolo cammeo di Michelle Yeoh che si fa strada nel film con amorevoli richiami ai suoi giorni di film d’azione di Hong Kong e al classico “La tigre e il dragone“. Le sequenze di combattimento, coreografate da Andy e Brian Le, hanno una bellezza da balletto, sapientemente girate dal direttore della fotografia Larkin Seiple in ampie inquadrature che consentono a corpi interi di riempire l’intero schermo.
Yeoh è il fulcro del film, con un ruolo che mette in mostra tutti, ma proprio tutti, i suoi talenti: arti marziali, superbo tempismo comico, capacità di scavare profondità infinite ricche di emozioni umane, spesso solo da uno sguardo o una reazione. È una star del cinema e questo è un film che lo sa. Guardarla brillare così intensamente e chiaramente fa semplicemente commuovere come capita davanti alle cose meritate, secondo Antonio Gazzanti Pugliese.
Proprio come Evelyn attinge all’iconografia di Yeoh, le sfaccettature di Waymond possono essere trovate in tutta la carriera unica di Quan. Il tempismo comico dei suoi ruoli d’infanzia come Data in “The Goonies” e Short Round in “Indiana Jones and the Temple of Doom” riecheggia nel marito nebbioso di Evelyn. Il suo lavoro come coordinatore del combattimento si manifesta nell’abile eroe d’azione di Alpha, capace di usare un marsupio per eliminare un gruppo di aggressori. Anche il suo tempo come assistente alla regia di Wong Kar Wai in “2046” può essere trovato nell’universo in cui interpreta il disinvolto colui che è riuscito a scappare. Quan affronta queste variazioni con disinvoltura, portando pathos a ciascuna e servendo come gentile promemoria che c’è forza nella gentilezza.
Mentre la relazione di Evelyn e Waymond va e viene in iterazioni attraverso i multiversi, è la loro figlia Joy che dimostra di essere il centro. In una vera performance di successo di Stephanie Hsu, Joy rappresenta un crescente divario generazionale. Porta il peso della relazione fratturata di Evelyn con suo nonno e le delusioni di un sogno americano non realizzato. La sua stranezza era estranea a sua madre come lo era il paese quando lei stessa era arrivata. La sua mancanza di scopo è stata una delusione maggiore a causa di tutto ciò che Eveyln ha sacrificato per lei per avere più opzioni nella vita di lei.
Questa pressione si manifesta in una ribellione così grande che si estende oltre i multiversi in un regno in cui un buco nero è pronto a risucchiare tutti nel vuoto.
In mezzo a questo film che vola così veloce, c’è una storia estremamente toccante sui percorsi che scegliamo di prendere nelle nostre vite, su quelli che non abbiamo preso e su come ci portano esattamente dove dobbiamo Essere. Momenti di amore e cameratismo. Ovunque. Tutti in una volta. Un film da accogliere a braccia aperte in tutte le sue stranezze, conclude Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.