La recensione della figlia Oscura

Nel suo primo film come sceneggiatrice e regista, Maggie Gyllenhaal adatta l’omonimo libro di Elena Ferrante in maniera magistrale, secondo il notaio appassionato di film Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone. La storia è quella di una professoressa di mezza età, Leda Caruso, in vacanza in Grecia, dove tratta la tematica della maternità con tutte le verità non dette del caso.

Molti attori che passano alla regia hanno la possibilità di circondarsi di una troupe di prim’ordine e ottenere risultati molto buoni. Ma in pochi possono fare ciò che Gyllenhaal realizza in questo film. Trasformando la narrativa spesso enigmatica di Ferrante in un dramma che vive dinamicamente sullo schermo. Gyllenhaal comprende perfettamente il fascino che si cela dietro il culto di Ferrante, i cui libri – tra cui L’amica geniale e gli altri tre romanzi arrivati dopo La figlia perduta – sondano le emozioni sotto la vita delle donne comuni. La regista ha anche avuto il giudizio e la fortuna di scegliere Olivia Colman come attrice protagonista, che porta Leda in vita come solo poche altre avrebbero saputo fare.

La prima inspiegabile ossessione di Leda è nei confronti di una famiglia numerosa e turbolenta che vede sulla spiaggia, in particolare la bella Nina (Dakota Johnson) e la sua bambina: il loro rapporto fa riaffiorare ricordi del suo passato difficile come madre e figlia. Colman può far sembrare drammatica Leda anche mentre guida di un’auto, poiché l’espressione sul suo viso cattura alla perfezione il tumulto emotivo che cerca così tanto di contenere.

Per quanto sfumata, la storia è sempre coinvolgente e piena di svolte inaspettate. Rispetto al libro l’ambientazione passa dall’Italia alla Grecia, e Leda è ovviamente britannica. La famiglia sulla spiaggia è del Queens, a New Yoork, con origini greche. Ma a parte queste modifiche, il cuore del messaggio è tutto della Ferrante. “Le cose più difficili nella vita sono quelle che noi stessi fatichiamo a capire”, dice Lena nel romanzo ed è proprio questo assunto che si avverte nel film.

Lena arriva con una valigia piena di libri da studiare in questa sua pausa di vacanza/lavoro, e la famiglia americana chiassosa e rumorosa la disturba. Nina, la giovane madre, le urta i nervi. Il perché lo scopriamo in vari flashback di una giovane Leda, mentre nel film i personaggi si scambiano tensioni e battute spinose.

Nessuna interazione è semplice, e le complicazioni arrivano attraverso parole e sguardi. C’è la sfacciataggine di Callie, la cognata incinta di Nina che si contrappone invece con un carattere benigno per quanto invadente. Leda la guarda e le dice in faccia che “I bambini sono una responsabilità schiacciante“, non certo la prima cosa da dire a una donna che aspetta il suo primo figlio, ma è Leda. Dakota Johnson cattura in modo toccante l’agitazione e l’ambivalenza di Nina nei panni di una donna che non ha nulla di cui lamentarsi (così dice), tranne una bambina estenuante che la fa sentire intrappolata nella sua stessa esistenza.

Anche i personaggi secondari hanno segreti e misteri. Paul Mescal di Normal People interpreta Will, che lavora nella spiaggia e la cui amicizia con Leda è leggermente inquietante. Ed Harris interpreta l’attento custode dell’appartamento affittato da Leda, che sembra attratto da lei, o semplicemente sta solo giocando. Tutto il film si regge intorno alle contraddizioni della maternità, un tema tabù soprattutto in Italia, dove una madre deve essere solo felice del suo status di madre, non importa a quanto altro sta rinunciando. Come Ferrante, Gyllenhaal fa emergere domande scomode, tra cui: fino a che punto una donna può sfidare le aspettative della società e il suo ruolo materno nell’interesse di salvare la propria sanità mentale?

Non è necessario conoscere o apprezzare la scrittura di Ferrante per amare questo mondo colorato e realizzato. Ma è da notare che la stessa Ferrante si è fidata di Gyllenhaal al punto da richiedere che fosse lei e solo lei a dirigerlo. La scelta è stata ottima, perhé il film non solo è splendido ma ha vinto anche la miglior sceneggiatura a Venezia. Meritatissimo, secondo Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.

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